d. Antologia critica: alcune presentazioni

Sono qui riportati i seguenti testi:


Andrea Revi, 2000

Giorgio Seveso, 1995

Giorgio Seveso, 1991

Antonio Bevilacqua, 1991

Marialuisa Vigorelli, 1989

Antonio Bevilacqua, 1988

Antonio Bevilacqua, 1986

Curzia Ferrari, 1981

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RITRATTI DI COSE

 Gli antichi pittori olandesi le chiamavano vite silenti, a sottolineare il fatto che solo apparentemente si trattava di composizioni inanimate, mentre una sottile vitalità le permeava, giungendo fino all’osservatore, a volte misteriosamente turbato da messaggi poetici che per vie sotterranee giungevano a segno. La tradizione antica non è andata perduta attraverso i secoli: si pensi alla grandezza di un Morandi ed al modo finissimo con cui egli riusciva ad estrarre dal suo pennello colori intrisi di poesia.

Spiritualmente a lui assai vicino, il pittore milanese Giuseppe Senna ci propone composizioni architettonicamente corrette, essenziali, prive di barocchismi, la cui sobrietà esalta un’inconfondibile personale tavolozza, dai toni morbidi distribuiti con grande maestria senza uniformità o piattezza.

Tutte le sue composizioni, di oggetti, frutti, fiori (così come del resto i paesaggi, non presenti in questa mostra, ma coerenti stilisticamente e che trasmettono le medesime delicate sensazioni) sono caratterizzate dalla peculiare tenue luminosità cromatica, che sembra riflettere un gusto particolare tipico degli affreschisti, un gusto antico rivisitato con delicato verismo e lirica tensione.

Queste nature morte, i frutti come velati di sottilissima polvere, i fiori all’inizio del declino del loro ciclo vitale, sembrano lasciar trasparire un’ombra di dolce malinconia, di abbandono ai ritmi della natura ch’è armonia, ma che pur anche richiama la fondamentale solitudine d’ogni essere umano. Con pudicizia e gentilezza estreme tali tratti vengono colti nell’intimità della riflessione interiore, in una sorta d’isolamento delle sensazioni: è un modo di concepire la realtà e la natura dell’esistenza. Alla base di tutta l’opera di Senna, della raffinata eleganza delle sue atmosfere distese in senso etico ed estetico, sta la vocazione alla rappresentazione dell’infinito, che si manifesta nell’esaltazione della luce pulviscolare, fino a rasentare a volte un disagio nella visione.

E’ propria di Senna una profonda meditazione del reale, resa con bella autonomia di stile, con cui egli crea inventari nella logica d’una grazia vicina agli stupori infantili (che non si distruggono mai del tutto) e con rimandi alla favola gentile della vita – umana e naturalistica – alla quale guardiamo ormai con nostalgia perché da tempo essa è a rischio di smarrimento.

Nel suo destino questo artista ha ormai incontrato uno spazio proprio, riservatogli dalla critica seria, selettiva e costruttiva, attenta alle finalità della vera arte pittorica che può fare storia.

Ammiriamo queste opere con occhio diligente, che pur appagato dall’armonia dell’insieme non si lasci sfuggire ch’esse parlano direttamente al nostro cuore, suscitando sentimenti di semplicità e purezza. E’ qui il segreto, in questi valori che arricchiscono e rendono amabile il nostro vivere quotidiano, malgrado ansie e tensioni, riportandoci nell’incanto di una splendida coralità, di una poesia perenne, del dinamismo vitale che si dispiega nella grazia di questi colori.

 

ANDREA REVI

(Presentazione per la personale del novembre 2000 alla Galleria d’Arte “Sant’Isaia” di Bologna)

 

LE NATURE MORTE DI SENNA

Ecco qui uno straordinario pittore di nature morte. L’avevamo lasciato qualche anno or sono all’interno di un suo prevalente interesse per il paesaggio e, in particolare, per la nostra campagna lombarda, per i suoi spazi nebbiosi e slontananti, i suoi singolari e irripetibili accordi cromatici, il suo specialissimo spleen; lo ritroviamo, oggi, concentrato su soggetti disposti “a ritratto”, preparati nella neutralità della luce artificiale e nell’immobile, astratta astanza del modello da studio.

In verità si può dire, tuttavia, che nulla per lui è cambiato. E non solo perché è da sempre, in realtà, che Senna dipinge simultaneamente sia l’uno che l’altro genere di soggetti, al punto che i suoi diversi periodi corrispondono certamente di più ad una determinata scelta espositiva che ad una reale prevalenza tematica nel lavoro, ma anche perché davvero non muta, qui, la filosofia stessa del suo dipingere.

Se qualcosa è cambiato invece è, se possibile, la perfezione e l’intensità suggestiva della sua mano, nella maestria e nella minuziosa virtuosità di queste nuove tele. Non v’è dubbio difatti che Senna, ora che s’affaccia alla sua maturità di uomo e d’artista, ha raggiunto una sua interna, persuasiva coerenza d’espressione.

E se l’ha fatto, è perché tale coerenza soprattutto s’aggancia più alle ragioni di una crescita di esperienze e sostanze interiori che a motivi di gusto, e si collega a nodi forti, decisivi e ineludibili, della sua poetica. Perché a cinquant’anni, pur se si comincia ad essere maturi, non si è certo vecchi e, soprattutto, non si è seduti, stanchi di curiosità, di esplorazioni all’interno delle proprie emozioni e della propria capacità di incarnarle nel segno.

Ma qual’è infine questa sua sostanza interiore o, come dicevo più sopra, questa sua filosofia d’immagine?

A mio modo di vedere essa si concentra in un suo particolarissimo approccio “contemplativo” alle cose e alle nature che ci circondano. Un approccio palpitante e insieme meditativo, che rivela uno sguardo interiore puntato sulle radici stesse della realtà oggettuale e recuperato nella verità e pienezza di una sorta di religiosità laica dell’esistenza, di una commossa e “semplice” consapevolezza a partire proprio dalla magia spontanea degli oggetti e del mondo.

Con guizzi e sprazzi di luci ed ombre colorate, come immobili spolverii del sentimento, i suoi fiori secchi, i suoi cestini, le sue bacche difatti s’illuminano davanti al cavalletto nel ricordo della campagna di cui portano ancora in sé l’impronta crepitante, poiché la natura vi è comunque presente in ogni suo rigoglio sentimentale e sensuoso, in ogni suo fruscìo onirico, in ogni suo incanto seduttivo.

E davvero non è importante che tale presenza s’affermi per il tramite d’una descrizione dilatata o solo grazie ad una forma di costante e diffusa allusività, perché qui anche la pittura, in tutti i suoi giochi e struggimenti e rigori, in tutte le sue sontuose fibrillazioni, è davvero presente fino in fondo.

E tra le ragioni dell’occhio e quelle del cuore, allora, sono infitti questi “ritratti d’oggetti” di Senna, nei quali i tiratissimi spessori della materia creano non tanto l’illusione quanto il parallelo della sensazione vedutistica, e i cui segni si fanno metafora costante e filtro poetico di un vero e proprio clima dell’anima, di uno spleen, dicevo, commosso e scoperto.

Preoccupato più dalla rispondenza poetica dell’immagine che dalle logiche vedutistiche del rappresentare, Senna dunque lavora per sottrazioni, per rastremazioni, per ossificazioni dei riferimenti figurativi. Il suo sguardo è rivolto al palpito lirico dell’oggettività, magari reinventata nel lavorìo della memoria e della fantasticazione fin quasi ad assumere talvolta come un misterioso sapore orientale, ove la mano tende a cogliere le strutture più interne, a ridisegnarne la sintesi e l’anima, l’intimo scheletro portante.

Ed in ciò, certo, consiste l’aspetto più suggestivo ma anche più spiazzante della sua liricità d’oggetti e di composizioni: in questa che propriamente è quasi una figurazione metafisica, una compressa passione di sintesi che s’intreccia da una parte a slanci romantici e sentimentali e, dall’altra, a vertiginosi assottigliamenti ermetistici, a prosciugate visionarietà quasi minimaliste concentrate in un solo sguardo ed in un solo gesto, in una mistura perfetta d’equilibrio singolarissimo, densa d’esplorazioni e distillazioni nel portato poetico della realtà.

 

GIORGIO SEVESO

 (Presentazione per la personale del novembre 1995 alla Galleria “Il Torchio di Porta Romana di Milano)

 

LA SOMMESSA POESIA DELLA NATURA

 

In queste immagini di Giuseppe Senna già da diversi anni vivono con profonda evidenza due elementi di fondo che definirei come scelta di durata, come positiva sopravvivenza di dati costitutivi oggi sempre meno perseguiti, purtroppo, dalla maggioranza degli artisti alla moda. Si tratta, da una parte, di un gusto attento, minuzioso, assorto per la pittura tout court: per una pratica del dipingere, cioè, vissuta come manualità intensa e responsabile, colta e sensibile, capace di guardare alle nostre grandi tradizioni e, insieme, di cogliere il senso del tempo e dell’attualità. E si tratta, dall’altra, di una qualità fondante e decisiva della poetica, vale a dire di una particolare qualità delle scelte tematiche, dei soggetti, del clima emozionale che le ispira, capace di tradursi, per lui, in una forte opzione interiore per la natura, e in particolare per la nostra natura lombarda, per i suoi spazi nebbiosi e slontananti, i suoi singolari e irripetibili accordi cromatici, il suo specialissimo spleen.

Non che la pittura oggi più celebrata sia tutta estranea a queste cose. Ma, certo, essa è spesso mancante appunto di poeticità, di vero rapporto con le cose, di lirismo autentico, appiattita com’è sempre più opportunisticamente sul puro edonismo, sulla ricerca formale o intellettuale fine a se stessa. In fondo non sono poi molti, oggi, i pittori che si dedicano a perseguire nel loro lavoro un rapporto vero con quel sentimento della natura che ognuno di noi, ogni giorno, sente un po’ più precario, un po’ più difficile o già per sempre perduto. Si preferisce infatti più frequentemente, rispetto a queste tematiche, un approccio più mediato, artificioso: l’esercizio di una attenzione più intellettuale, più letteraria, più distaccata.

Senna, invece, ha trovato le ragioni stesse della pittura proprio nel cuore di un suo vivo rapporto con gli alberi e con i cespugli, con i bassi orizzonti della pianura e dei boschi, con i silenzi felpati sul greto dei suoi placidi corsi d’acqua che trascorrono nella bruma.

E’ davvero un approccio palpitante il suo. Un approccio che rivela un mondo interiore fondato su un particolarissimo sguardo contemplativo rivolto a ciò che lo circonda e che ci circonda. Rivolto a qualcosa che si colloca alle radici stesse della nostra naturalità, recuperando, insomma, la verità e la pienezza di una laica religiosità dell’esistenza, di una palpitante e “semplice” consapevolezza delle cose a partire proprio dall’ambiente, dai campi, dai fiumi, dalla magia spontanea della natura. Ecco, si può dire che il segreto di questa poesia per immagini e del suo fascino pacato ed assorto è proprio qui, in questa semplicità d’ispirazione e d’intenti che, proprio in virtù della sua sincera, sorgiva adesione al tema complessivo che s’è scelto, si volge in forte capacità di suggestione, in vibrante persuasività emozionale.

GIORGIO SEVESO

 (Presentazione per la personale del novembre 1991 alla “Galleria d’Arte Canfora” di Milano)


ARCHETIPI QUOTIDIANI

 In arte, come nella vita, s’impongono spesso delle scelte. Magari non su dicotomie manichee, ma tra opzioni operative, in linea con sensibilità, temperamento, visione della vita e dell’arte propri dell’operatore. Ad esempio, accade di dover scegliere tra estensione ed intensità, e che da una deliberata limitazione della tematica possano scaturire una maggior profondità, un’acuta risonanza interiore. E’ il caso della pittura di Giuseppe Senna, la cui limpidezza spirituale ed artistica, focalizzata da una gamma contenuta di motivi apparentemente dimessi, consegue nella sua decantata semplicità un acuto e penetrante vigore.

Come un sottile raggio di sole essa guida a cogliere, con i segreti della luce e dell’aria, l’anima dei luoghi e delle cose, fino a percepire, tra il visibile e l’invisibile, l’infinito dell’immaginario poetico.

 “L’arte è una manifestazione dell’animo umano sotto il segno della poesia”. Come molte verità, questa asserita da Le Corbusier è relativa, valida in diverso grado, e non poi per tutti. Lo è, sommamente, per la pittura dì Senna, giocata sulla resa emozionale di rarefatte immagini, luci ed atmosfere, su silenzi ovattati ma vibranti, carichi di tensione, colmi di sensi d’attesa e di slanci interiori.

Le opere recenti di Senna, paesaggi decantati colti nell’attesa dell’omaggio del sole o dell’abbraccio della bruma, o diafane nature morte trasfigurate in archetipi, per quanto a prima vista autentici “pezzi di bravura”, valgono precipuamente come limpidi segmenti lirici, che attingono a tonalità metafisiche.

Una meditata contemplazione estrae da distillati dati di realtà la loro essenza, e un sottile giuoco d’equilibri li traduce in composizioni sobrie, scarne seppur minuziose, analiticamente approfondite.

Il loro tessuto pittorico, tonale, materico e segnico, pulsa in ogni sua cellula una raffinata vitalità che lascia appena intuire profonde tensioni esistenziali ricondotte alla trepida perfezione di un sereno e sconfinato silenzio, all’armonia di una luminosa assolutezza. Umili e sublimi, questi silenziosi monologhi evocatori inverano il detto antico: “Si poëma loquens pictura est, pictura tacitum poëma esse debet”.

ANTONIO BEVILACQUA

  (Presentazione per la personale del novembre 1991 alla “Galleria d’Arte Canfora” di Milano)

 

I PAESAGGI DI GIUSEPPE SENNA

 Produzione altissima, fin dalla prima metà del secolo la pittura lombarda segnò la rivalutazione del paesaggio come genere pittorico atto a trasmettere valori. Ed al contempo diede (o ridiede) l’abbrivio alle controversie interpretative sul rapporto arte-natura.

Il pittore, dice Giacosa, non dev’essere un semplice ritrattista della natura, ma ben anche un Creatore.

Molte volte per soverchio amore del vero i pittori si abbandonarono a ciò che chiamasi naturalismo, rinunziando alla più bella gloria dell’arte, che è l’invenzione.

Per converso, Senna, pittore-poeta, non è legato ai sussulti di un Io filosofico, bensì ad un intendimento dove accorato si fa il sogno, il sogno profetico del dormiveglia. I colori si stendono piano e si riconvertono in altro, si scindono in diverse significazioni e l’opera ha il canto di toni ritmati.

Senna sa dare con rara maestria alle proprie immagini il variato riflusso di una visione. Non un onirismo di vita quotidiana, bensì poesia: le immagini si rincorrono e queste scene reali e concrete sono in fondo come parole impronunciate. Nella preziosità delle sue inquadrature, il senso oscuro della natura viene rivelato, e spesso ciò ha il gusto raro di una favola.

Si può dire tutto sulla pittura, ma alla base resta sempre una questione di sensibilità. Nella natura, l’artista interroga sempre il proprio desiderio: è il fascino di certi quadri. Il fantasma resta subordinato ad esigenze d’ordine plastico, costretto a piegarsi alla costruzione formale: poi, attraverso la sublimazione, il tutto si trasforma in una preziosa rete che cattura lo sguardo. Il ruolo di Senna è di restituire – per riflesso – la capacità dei sentimenti percepiti, risvegliando la superficie sonnolenta della nostra quotidianità.

Nei paesaggi acquatici, nebbiosi, della Bassa ci si aspetta quasi che emerga la mitica Isola di Peter Pan, l’Isola-che-non-c’è. Ci si ritrova anche un po’ di eterno, e così si tenta d’ingannare il tempo che forse c’inganna.

La funzione della memoria stabilisce l’ordine dei tempi e le ombre sottili nei quadri: sottili e discrete vivono il tempo dell’evocazione di questo pittore. Sono immagini fragili, nell’evanescenza di un colore; si situano nell’enunciato che fu prima di Picasso e poi di Lacan: “Non cerco, trovo.” In quanto comportano il trovare, come amore in rapporto al caso.

Il piacere di perdersi nei paesaggi di Senna, rete sottile, preziosa filigrana. Un versante lungo di rive e di macchie, di noccioli e di salici, e più in là ci s’immagina altre rive e altri boschi, e la luce digrada sulla spalletta di un ponte, dando la sensazione che il mondo finisca di là del fiume. La natura di Senna vuol dire non essere soli, saper che nelle piante, nella terra c’è qualcosa di Tuo.

Le strade, le rive, le barche nel fiume, e sulle rive le gaggie, le felci, i sambuchi.

Diceva Mirò: “Quando lavoro ad un paesaggio comincio ad amarlo, con la felicità di comprendere anche il filo d’erba.”

Nella tavolozza di Senna c’è un recupero di compartecipazione, di coinvolgimento, di commozione da parte di chi guarda e riconoscendosi senza sforzi, apprezza. Non si tratta di una commozione, diciamo, ecologica, ma del ritorno di alcuni valori etici che solo la natura sa esprimere con grandi semplicità e immediatezza.

Ricordo alcune parole del russo Michail Prisvin: “In mezzo a quei fiori vicino al fiume ero l’unico incapace di guardare il sole: posso solo esprimerlo evitando di incrociare lo sguardo. A differenza delle piante, il sole mi acceca...”

MARIALUISA VIGORELLI

Ibiza-Eivissa, maggio 1989

 

PER GIUSEPPE SENNA

Ogni giorno reca la sua pena. Ma la pena di ogni giorno, le tensioni e le delusioni, l’amarezza per le meschinità umane, troppo umane, possono dissolversi dinnanzi ai miracoli quotidiani dell’aurora o del tramonto, o alla rievocazione d’una riva ombrosa, d’un ghiaieto solatìo, d’una risaia dorata dagli ultimi raggi del sole, d’una siepe impreziosita dalla brina, della misteriosa carezza ovattante della nebbia...

Ad affermarlo è Giuseppe Senna, in un raro momento di confidenza verbale, quasi estorta. Il suo disagio deriva da una specie di pudore dei sentimenti in linea con la sua natura schiva di lombardo. Perché parlarne? A lui sembra perlomeno superfluo esplicitare a parole quanto è da anni argomento della sua attività d’artista. Nei pastelli evanescenti e nei carboncini ricchi di suggestione quanto sobri di segni, un tempo; oggi, nei preziosi disegni a punta d’argento, eseguiti con minuzia e soavità leonardesche, e negli intensi dipinti sapientemente costruiti con scabri veli di materia pittorica: sempre, un’appassionata fedeltà tematica si traduce, senza retorica e senza ostentazione, in un cantico.

L’evoluzione stilistica di Senna nel corso degli anni può essere schematicamente tripartita: un iniziale informalismo naturalistico caratterizzato da toni smorzati e rilevati viluppi materici, sullo scorcio degli anni sessanta; un periodo di ricerche approdate verso la metà degli anni settanta ad una pittura dai celati effetti metallici, nella quale ogni mutamento di qualità ed intensità della luce incidente determinava sorprendenti trasformazioni coloristiche, risaltando questo o quello strato di velature; la conquista del colore attraverso la scoperta ed il progressivo impiego dei pigmenti naturali, terre e sali minerali, con i quali, dagli inizi del decennio in corso, Senna prepara da sé, seguendo antiche ricette, gli elementi della sua tavolozza. Rispetto e amore per questi doni della natura, inibendogli eccessive manipolazioni, lo hanno condotto, quasi in un processo catartico, alla pittura attuale, in cui ténere note cromatiche évocano atmosfere soffuse, spazi dilatati ed intensi silenzi, tesi all’ascoltazione di quell’immenso e affascinante mistero ch’è la voce della natura.

Eppure la natura che Senna celebra in tutta l’opera sua è quella discreta e modesta dei campi e delle acque di Lombardia. Il bello, si sa, è negli occhi di chi guarda: si tratta solo di saper vedere. Ecco il punto, ecco perché la pittura di Senna ci tocca: essa non descrive, non racconta, non rappresenta; essa, semplicemente, c’insegna a vedere. A vedere, oltre l’apparenza, ciò che è sempre nuovo per quanto sempre uguale, ciò che si trasforma eternamente, insieme molteplice e immutabile.“Come tutto s’intesse di un intero, ogni cosa nell’altra opera e vive”, lasciò scritto Goethe nel Faust.


ANTONIO BEVILACQUA

(Presentazione per la personale del novembre 1988 alla Galleria “Il Torchio di Porta Romana”, Milano)

 


COSCIENZA DEL NATURALISMO 

“La gente del mondo ha perso le radici per tenersi alla cima dell’albero” (Gu De)                                                                

In apparente contrasto con la gioviale socievolezza che gli deriva da un carattere schietto ed entusiasta, come artista Giuseppe Senna ha percorso in solitudine l’arco della propria ricerca tecnica ed espressiva, che lo ha condotto dal ribollente pur se pacato informale degli anni Sessanta (egli appena ragazzo) ai raffinati e sobri dipinti figurativi d’oggi. A spunto dei quali ha conservato, da allora, il motivo del paesaggio lombardo, di cui sa rendere gli aspetti più lirici, ma ch’è in realtà pretesto a parafrasi simboliche. 

Coltane l’intima essenza, il naturalismo viene trasceso sulla via di dilatati silenzi: la coscienza riscattata si pone a dialogo con l’universo, di cui capta e segnala senza forzature la profonda armonia. Il dilemma identificazione-confronto svela la propria vacuità e l’anelito alla partecipazione mistica primordiale si dissolve in contemplazione, nella “consapevolezza priva di contenuti, che tuttavia lascia esistere tutti i contenuti”. (Jung) 

Nelle sue opere, questo artista abile e intenso dispiega un limpido canto d’universale valenza. Non lasciamoci tentare da struggenti rimpianti per mitici Eden smarriti: l’Eden è una conquista, una dimensione interiore, un’attitudine del sé. Sta a noi dischiudere i cancelli dei giardini dell’anima che stanno oltre le mura dell’indifferenza. 

Questo ci segnalano le rive fiorite, i greti, le risaie, i ricorrenti umili cespugli, i lembi di una natura incantata che Senna, partendo all’antica dalle terre e dai pigmenti minerali, fissa sulla tela con veli di elaborata, preziosa materia. 

Una nota a parte meritano le punte d’argento, che all’artista hanno valso il plauso di più d’un critico valente e di palato sottile. Si badi, non di puntesecche si tratta, ma di disegni, eseguiti con un sottile ago d’argento puro su cartoncini opportunamente trattati: pezzi di bravura, quindi. Ma, merito anche della tecnica inconsueta e del timbro irreale che ne sostiene i segni, da queste finestrelle si coglie un mondo fiabesco, seppur quotidiano. Al quale la voce discreta ma penetrante di tutta l’opera di Senna c’invita in bellezza a partecipare.  

ANTONIO BEVILACQUA 

 (Presentazione per la personale dell’ottobre-novembre 1986 presso la “Galleria d’Arte Treves” di Milano) 

 

 


CURZIA FERRARI PER GIUSEPPE SENNA 

In taluni spiriti semplici, che credono di essere molto ben agguerriti, l’io segreto gioca a volte strani scherzi che fanno vivere all’interessato i fenomeni della rivisitazione, della visione, del miraggio. Se l’interessato è un artista, si avrà l’impressione che la sua opera sia dettata da un personaggio invisibile, il dàimon socratico, per cui non si può non ricordare un concetto di Gide secondo cui “non vi è opera d’arte in cui non entri in qualche modo la collaborazione del démone”. 

Queste sono le cose alle quali pensavo osservando per la prima volta i lavori di Giuseppe Senna, nel suo studio e nella sua casa milanese: olii di periodi più o meno recenti, disegni minuziosi fino all’inverosimile, e soprattutto le emozionali scritture aeree a pastello del mattino sul fiume, un racconto fatto di respiri più che di colori, quasi anima dissociata e indipendente dalle gerarchie della coscienza. 

Senna è un uomo schietto, disponibile, di genuini e molteplici interessi che vanno dalla musica al restauro dei mobili, dalla lettura alla pesca, hobby-pretesto, quest’ultimo, che lo costringe per lunghe ore sull’Adda o sul Ticino, a dialogare con la propria solitudine e a scoprire i misteri di un paesaggio talmente filtrato da divenire, in ultima analisi, metapsichico. 

L’orizzonte si amplia davanti agli occhi di Senna, si riempie di eloquenza sottilissima, proprio come se uno sconosciuto parlasse al suo orecchio di elementi inacquisibili con gli strumenti comuni, e la traduzione che egli ne fa è lieve, ottenuta con barlumi di colore fortemente ispirati. 

Anche nella grafica la meta cui tende questo pittore non è di tipo tradizionale. A parte la bravura tecnica, che si ammira con un certo stupore, notiamo la ricerca di quel qualcosa che dirige l’umanità verso un destino ben diverso da quello cui sembra vocata. L’aspetto profondo della realtà, che si rifà nell’inconscio al lombardismo leonardesco, assume una delicatezza diafana, nell’arco dei neri e dei bianchi si inserisce tutta una tavolozza di grigi digradanti grazie alla quale Senna ci fa sentire il colore, lo spessore, il profumo delle erbe e degli alberi, la trasparenza e il fruscio dell’acqua, la cavità dei cieli, il movimento delle nuvole. Sembra che un impulso interiore gli guidi la mano a scandire, sulla visione di nutrimenti terrestri, l’iridescente spettacolo di una beatitudine arcana, di una melodia, sicché l’immagine è infine soltanto il fragile se pure necessario sostegno di una magia occulta. 

I boschi, i comunissimi boschetti che incorniciano le nostre rogge, i filari dei pioppi e dei gelsi, le macchie di betulle accanto agli stagni, si tramutano così nel giardino dell’Eden, macchiato da luci rifratte e inebriato da polvere d’oro, dove tutto distilla quiete e dolcezza. Ma Senna percorre anche altri itinerari. Nella pittura, annullato – si direbbe – l’amore per la superficie, le cadenze del linguaggio mutano totalmente e le composizioni presentano risonanze diverse, di diverse scuole e correnti, possiedono insomma requisiti più patetici, in un certo senso, e più letterari, staccati da quella idilliaca contemplazione che caratterizza i disegni e i pastelli. La trama è spesso materica, sino a farci pensare che, dopo tanta decantazione, Senna, nel porsi davanti al cavalletto, senta il bisogno di ristabilire un impatto con la realtà e con i suoi spessori, con i volumi delle cose e il loro talvolta brutale rivoltarsi contro l’impalpabile nulla-tutto del sogno. 

Prevale nella pittura l’altra faccia di Senna, l’essere positivista e forse affezionato al metodico rigore della quotidianità: per ridotte che siano allo stato di colore, le cose rompono dalla tela con veemenza, anche una mimosa riesce a gridare la sua pienezza anziché il suo profumo. Così il genere di comunicabilità assume un metro differente, e va a sollecitare stimoli sensoriali che affondano le radici nella cultura e nell’insistito ricordo di già orchestrate suggestioni, in svelate ansie di costruire il ‘messaggio’. Senna pittore è tutto nello scatto cromatico-materico della tavolozza. Libero dai lacci invisibili ma potenti dell’incantesimo visionario, si lascia andare a godimenti deviati e che però possono avere una loro felicità se il pittore non rinunci a vigilare, cerchi quel che cerchi, sul suo territorio personale fatto di un suo mondo interno e di una sua cifra. 

E a questo punto non posso resistere alla tentazione di ricordare a Giuseppe Senna che “in principio era il segno”, un dono enorme che egli ha ricevuto in alta misura e del quale non può dimenticarsi neppure nella vitalità delle proprie contraddizioni, conferma di un grande entusiasmo verso l’esperimento. 

“In principio era il segno”, la proiezione ultravioletta e ultrasonica dell’attività creatrice, il raccordo tra la psiche e la realtà che sfugge e muta, sempre imperfetta e piena di limiti. Quando ci troviamo di fronte ai grandi prodotti segnici di certi geni, si veda l’opera grafica di Modigliani, abbiamo l’impressione che un’altra potenza diversa dalla selezione cosciente, abbia avuto parte nella creazione di quei prodotti. 

Sarà che l’uomo avverte per istinto la necessità di sublimare: ma la Lombardia di Senna, colta dalla sua sensibile punta d’argento, pullula di un vago senso di magìa, e io vorrei che a questa magìa tutti gli altri elementi del suo fare fossero tributari; anche la materia, e Senna è capace di farla cantare senza timore di stonature, come la vicenda meravigliosa che dà all’artista un nuovo potere. 

 CURZIA FERRARI 

((Presentazione per la personale del novembre 1981 alla Galleria “Accademia” di Milano)